mercoledì 9 febbraio 2011

Ho avuto una visione straordinaria.


“Ho avuto una visione straordinaria. Ho fatto un sogno che nessun cervello umano riuscirebbe a spiegare. E c'è da far la figura del somaro soltanto a provarcisi. Mi pareva d'esser... nessuno può dire che cosa. Mi pareva d'essere... e mi pareva d'avere... ”.


Un sogno così divertente poche volte viene sognato. Quando accade, il miracolo del teatro si realizza. La scena davanti a noi è una scatola vuota. Ha tre pareti bianche e insonni. Lavagne di fogli mobili, appuntati con mollette fermacarte in alto. Assomigliano a delle lenzuola stese; il palco è una piccola nicchia, uno spazio libero. Non servono i marchingegni mirabolanti né gli sfarzosi apparati scenici dell’epoca vittoriana, a Cecchi basta la forza dirompente della giovinezza che inizia a giocare con il teatro, per far funzionare alla perfezione un congegno teatrale di stupefacente maestria. E’ infatti solo di questa preziosissima materia che il regista si serve per dar vita al Sogno. Ci accompagna la cadenza di un respiro che Nicola Piovani traduce in note, il sottofondo musicale di una pianola, una batteria, una chitarra e del flauto di Puk. Sono gli attori stessi a suonare sul palco, alternandosi agilmente. Così sfumano i contorni dello spazio in melodie incantate.

Nata come saggio finale per gli allievi dell’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, la pièce vive di vita propria, assumendo l’autonomia e i connotati di un vero spettacolo teatrale itinerante, un’opera compiuta. Ma nulla è come sembra. La mano del maestro è sapiente, la sua visione potente. Ogni equilibrio della scena è spostato e i nostri punti di riferimento incerti. Forse alla fine scopriremo di aver sognato noi un saggio scolastico. E saremo confusi come Lisandro e Demetrio, storditi più di Elena ed Ernia.

La forza centripeta del sogno shakespeariano è tale da attirare nel gioco pirotecnico anche il regista, che diventa a sua volta attore. D’altronde, conoscendo Carlo Cecchi, non poteva finire altrimenti. Il Sogno è una vera commedia degli equivoci legata a doppio filo con la Bottega di Eduardo, la lingua teatrale parla il napoletano universale, l’inglese elisabettiano del Bardo, il pugliese stretto di Nick Bottom. Si sente tutta la formazione partenopea di Cecchi, la lezione del regista Peter Brook che nel 1971 fece scuola.

Scenografia ridotta ai minimi termini, costumi ripensati di plastica colorata, una ricerca dei materiali che ha lavorato di sottrazione, scarnificando per cogliere l’essenza. Così una volgarissima plastica riciclata diventa quanto di più bello possa esserci per dare vita alle ali delle fate danzatrici, per colorare i mantelli di Teseo/Oberon e Ippolita/Titania. Sembra un gioco di altri tempi, quando era la fantasia a muovere tutto e a creare il mondo dal nulla. Fate, folletti, elfi, danno vita ad un incantevole gioco. E il talento di questi giovani è materia duttile, vivo slancio di entusiasmo, pieno godimento della scena.

La ricchezza simbolica della notte fra il 23 e il 24 giugno, il risveglio pagano della Natura, gli spunti delle Metamorfosi di Ovidio con Piramo e Tisbe, il rimando all’Asino d’Oro di Apuleio, confusi e impastati nel metateatro di Cecchi creano sulla scena un pastiche sorprendente in cui le tre storie si sfiorano, si intrecciano, si ingarbugliano e si disfano davanti ai nostri occhi dimentichi del tempo. Quello che colpisce è il talento di questi ragazzi, la capacità di improvvisare intermezzi comici, di seguire il Maestro nel suo ritmico e divertito incespicare.

Si esce lievi, fiduciosi nella meraviglia del teatro. Spettatori sorridenti di un patto generazionale risolto, in cui l’esperienza e l’acume di uno dei più grandi maestri del teatro italiano strizzano l’occhio all’intuizione della giovinezza. Fuori ci aspettano tempi tristi in cui i padri lasciano solo debiti infiniti in eredità ai figli, allora riempie il cuore sognare generazioni abbracciate in una notte d’estate.










Autore: William Shakespeare
Regia: Carlo Cecchi
Genere: commedia
Compagnia/Produzione: Teatro Stabile delle Marche
Cast: con Carlo Cecchi, Valentina Rosati, Gabriele Portoghese, Davide Giordano, Sofia Pulvirenti, Barbara Ronchi, Cecilia Zingaro, Federico Brugnone, Valentina Ruggeri, Simone Lijoi, Silvia D’Amico, Enoch Marrella, Luca Marinelli, Lucas Waldem Zanforlini, Nicola Sorrenti, Luca Romani



F.O.

domenica 6 febbraio 2011

La notte di nozze

Durò poco, così volle ricordarselo. Lui smise di ringhiare prima che il peso la schiacciasse. Si tirò su i pantaloni come un vizio antico. Sul cuscino restava la saliva di un urlo sbavato e inghiottito male. I ricci scarmigliati e furenti cadevano sui seni nudi. L’aveva lasciato fare, le sue mani in ogni orifizio. Al sudore corrosivo di lui rispondeva con mutismi ostinati e straniamenti. Si era lasciata prendere quella notte con gli occhi volti alla finestra, fissi al lampione in strada, con l’urgenza dell’alba. L’aria era calda fra le lenzuola increspate. La scena dell’amplesso scarna. Spoglia come il loro innesto sgraziato.
Appena la porta si schiuse, la stanza sputò fuori l’ombra e Maria riprese a respirare. Impercettibilmente scostò la tenda dalla finestra. Il mattino era già alto. Fece per proteggersi il viso con la mano, ma un raggio sfondò le traiettorie dei mobili, spellò i centimetri del soffitto scorticando intonaco. Fu allora che il chiasso impietoso della luce inchiodò alla carne bianchissima il rivolo di sangue che sgusciava fra le gambe. Sentì il dolore come una cosa viva. Un conato di vomito montava dentro. Sottili e insistenti le dita presero a tamponare la ferita con il lenzuolo.
Sottovoce. Diomio ancora mormorava. Lasciò cadere la mano a peso morto. Esausta. Il ventre contratto era una fuliggine di livide efelidi. Sentiva i ganci del reggiseno slacciato morderle le scapole magre, il cuore scoppiare. Rovesciò la testa all’indietro e chiuse gli occhi. Per un attimo, un attimo soltanto, non sentire nulla. Nessuna voce, nessun disgusto.
Nella stanza accanto l’acqua scrosciava forte, schizzava e rimbalzava dal bocchettone della doccia. Si sentivano le tubature scricchiolare sotto il peso della pressione. Quel sibilo metallico era un brivido freddo lungo la schiena. La prima notte di nozze era passata, si rincuorò a mezzavoce.



(estratto)