sabato 20 novembre 2010

Sprazzi di sereno.

Voltate le spalle all’aula che si svuotava si avviò verso l’uscita. Le ultime frasi del professore si erano accorpate, un’ombra che a gattoni rimbombava lungo le scale e tamponava di ovatta il baccano degli studenti. Fantasie bizzarre che danzavano, lasciavano scie come code di aquiloni. Nessuna congettura riusciva a farsi idea compiuta che già si coagulava in frantumi inerti di dubbio. E allora Chiara aumentava il passo srotolando le gambe sulla lunga scalinata come a volersi scrollare di dosso un peso. Le si leggeva in viso un punto interrogativo e pensava che aveva il libricino rosso da pochi giorni appena eppure qualcosa di strano le stava succedendo. Saltando a balzi di decenni la linea del tempo, ad occhio e croce le sembrò verosimile immaginarsi il professore appena ventenne nel tumulto del ’68. Buffo, lo era sempre stato. Lo vedeva magrolino fluttuare nella fiumana umana che colorava le strade di striscioni e inondava l’aria di slogan al megafono. Lui c’era. Lo distingueva nitidamente nel corteo, il jeans a zampa, il codino.


A ferirla era stata quell’ironia nella voce perché s'intravedeva una risata sommessa dietro, un ghigno, un moto di stizza, come per dire: “Queste cose assurde datate!! Povera illusa!”. Nemmeno l’aveva camuffata, la cattiveria stantia che si nutre al buio in solitudine. Perché non ho avuto la prontezza di rispondere? Perché ho lasciato che quella frase mi piombasse addosso così, senza capire? Istintivamente la mano scivolò nella borsa e accarezzò il libro. Guance porose di cellulosa livida si offrirono grinzose al tatto. Pagine incollate l’una alle altre avevano aspirato tutto il tabacco di quella pipa caleidoscopica e improvvisamente erano invecchiate senza ragione. Il libro aveva dita di vecchi fumatori incalliti, pelle gonfia di vesciche. Una piega amara le increspò le labbra. La mano afferrò forte il volume scarno come ad impedirgli di scivolare via. Ora aveva in pugno una trama asciutta di fibra lunga, un’anima lattiginosa e stringeva. Fu una nuova geografia di rughe e di ossa incavate a frastagliare le estremità usurate quando l’accenno di un sorriso svanì fugace e Chiara si fece seria. I ragazzi uscivano di corsa incuranti della pioggia ma era troppo bella la città bagnata per non fermare l’immagine.


Il cielo spoglio e l’odore di bagnato la sorpresero accanto allo stipite del portone, immobile, un rampicante sinuoso. Assorta, un po’curva, con la testa appena inclinata. Gli umori della strada, lo smog delle auto in fila, il sapore della gramigna abbarbicata ai muri si confondevano con spruzzi dell’esistenza odorosa. L’aria sapeva di muschio. Tutt’intorno c’erano pozzanghere dai sorrisi aperti in cui frugare, finestre affacciate a specchiarsi. La strada conteneva a fatica gli ombrelli. Erano per lo più uomini incravattati dal passo deciso, ciascuno con il proprio ombrello, la propria valigetta, consulenti della società finanziaria che sgusciavano dagli uffici del palazzo di fronte.


L’annunciò il ticchettio delle scarpe alte.

Poi pantaloni neri di panno, camicetta a righe e golf sotto la giacca con il logo della griffe cucito sul petto. “L’uniforme”, pensò sorniona. Perle piccole e luminose ai lobi, ciondolo di oro bianco che a fatica restava composto sul collo. Camminava a piccoli balzi, quasi impercettibili. Ondulava appena il bacino mantenendo la schiena dritta. Un singolare equilibrio in quella figura trotterellante, una strana armonia. Il compasso delle gambe disegnava semicerchi appiattiti. Faticava a correrle dietro l’ombra umida di un ricordo. Fu lei che vide Chiara per prima e con voce allegra le andò incontro. I capelli lisci ordinati, l’aria curata di chi ha tutto sotto controllo, i numeri giusti. Chiara riconobbe in quella frenesia composta dei passi il suo orologio biologico. Un tempo avevano camminato insieme lungo la via della Sapienza, Aveva tenuto il passo, a volte anche superato, accelerando come un riflesso incondizionato. Di quei primi anni di università ricordava la velocità e ancora provava nostalgia per le cose viste e non guardate.



(estratto)

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