domenica 6 febbraio 2011

La notte di nozze

Durò poco, così volle ricordarselo. Lui smise di ringhiare prima che il peso la schiacciasse. Si tirò su i pantaloni come un vizio antico. Sul cuscino restava la saliva di un urlo sbavato e inghiottito male. I ricci scarmigliati e furenti cadevano sui seni nudi. L’aveva lasciato fare, le sue mani in ogni orifizio. Al sudore corrosivo di lui rispondeva con mutismi ostinati e straniamenti. Si era lasciata prendere quella notte con gli occhi volti alla finestra, fissi al lampione in strada, con l’urgenza dell’alba. L’aria era calda fra le lenzuola increspate. La scena dell’amplesso scarna. Spoglia come il loro innesto sgraziato.
Appena la porta si schiuse, la stanza sputò fuori l’ombra e Maria riprese a respirare. Impercettibilmente scostò la tenda dalla finestra. Il mattino era già alto. Fece per proteggersi il viso con la mano, ma un raggio sfondò le traiettorie dei mobili, spellò i centimetri del soffitto scorticando intonaco. Fu allora che il chiasso impietoso della luce inchiodò alla carne bianchissima il rivolo di sangue che sgusciava fra le gambe. Sentì il dolore come una cosa viva. Un conato di vomito montava dentro. Sottili e insistenti le dita presero a tamponare la ferita con il lenzuolo.
Sottovoce. Diomio ancora mormorava. Lasciò cadere la mano a peso morto. Esausta. Il ventre contratto era una fuliggine di livide efelidi. Sentiva i ganci del reggiseno slacciato morderle le scapole magre, il cuore scoppiare. Rovesciò la testa all’indietro e chiuse gli occhi. Per un attimo, un attimo soltanto, non sentire nulla. Nessuna voce, nessun disgusto.
Nella stanza accanto l’acqua scrosciava forte, schizzava e rimbalzava dal bocchettone della doccia. Si sentivano le tubature scricchiolare sotto il peso della pressione. Quel sibilo metallico era un brivido freddo lungo la schiena. La prima notte di nozze era passata, si rincuorò a mezzavoce.



(estratto)

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