venerdì 7 maggio 2010

Come si muore dentro.

Lord Cecil si congedò esauriti i convenevoli. Lei si lasciò cadere a peso morto sulla poltroncina rossa. Il bustino le stava così stretto da farle male, il cuore che le scoppiava nel petto. La testa era diventata pesante e la rovesciò indietro.
“Ah, Elisabetta, Elisabetta…”, mormorava a se stessa, “cos’hai fatto?”.
Non riusciva a crederci. Le voci dei mercati erano poca cosa in confronto alle Erinni dei suoi pensieri. I rimorsi la torturavano e lei vacillò. Si coprì il viso con le mani. Voleva solo smettere di pensare, che la giostra si fermasse. Forse tutto poteva andare in un altro modo. Forse.
Prese uno specchio. Alla luce di una candela un viso stanco la scrutava nella cornice. Due rughe profonde ai lati della bocca serrata e labbra così sottili da sembrare invisibili. Il naso severo. Gli occhi, un azzurro grigio, erano cielo in tempesta, piccole fessure lucenti venate di rosso. Le palpebre avevano iniziato a cedere: la fatica di tenere a bada occhi irrequieti o lo sforzo di chiudere le saracinesche del cuore davanti alla Ragion di stato. La donna nello specchio non era bella. Quarant’anni portati male. Lentiggini e couperose su un volto altrimenti cereo: si vide vecchia tutta d’un tratto. Una mano fra i capelli e il ricciolo rosso le si scompigliò sulla fronte.

Elisabetta bambina giocherellava con i boccoli sulle dita, capelli rosso fuoco e pelle bianco latte: un incanto il contrasto di colori! Sua madre un giorno se ne accorse e la riprese con disprezzo.“E’ un atteggiamento da femmine! Tu sei una regina, Elisabetta, siederai sul trono di Inghilterra, devi governare, cosa sono quelle mani fra i capelli? Vergognati”. Erano passati tanti anni da allora e lei aveva imparato a governare insieme ai maschi, a sopravvivere e a non piegarsi mai: i suoi capelli avevano sempre avuto un contegno regale.

Socchiuse gli occhi, “No, in un altro modo proprio non poteva andare” si disse.
“La condanna è ormai firmata: è giusto così!..La condanna…si, è giusto così”.
“Dio Mio cosa ho fatto?”
“Quell’intrusa vile assassina ha osato chiamarmi bastarda!”.
Solo al pensiero il petto le si ingrossò dalla rabbia e il bustino pareva non reggere più tante emozioni. “Io sono la tua regina, bastarda figlia di Bolena!”: echeggiava quella voce piena di orgoglio ed odio. Maria Stuarda era sempre stata un problema per lei, ma stavolta era troppo: l’aveva offesa davanti ai suoi sudditi! “Devo vendicare tutti gli inglesi. Io sono la regina. Pensavi che ti avrei accolto, vile sorellastra? Che stupida! Eppure diciotto anni di reclusione a Forteringa non ti sono bastati…”. “A morte, a morte!”.
Rabbia, odio, sconforto, rancore affollavano l’anima. Rimorso.

Era caduta in una trappola, una questione fra femmine, peggio di qualsiasi guerra: si decideva il suo futuro. La storia l’avrebbe giudicata? Aveva il potere per condannare a morte la sorellastra, ma Elisabetta non ne aveva il diritto e lei lo sapeva. Per diciotto anni aveva tamponato l’odio: Maria Stuarda prigioniera nel Castello di Forteringa era diventata invisibile. Follia. Eccola tornare a sputare veleno. Era troppo.

La cera colava lenta lungo il portacandele, creava piccoli nodi come il tronco di un albero. Pensò al ceppo di legno del boia con la scure l’indomani. Maria Stuarda sarebbe stata decapitata.

L’Inghilterra avrebbe vinto, l’ordine protestante ristabilito. Elisabetta, la regina, incontrastata avrebbe avuto un problema in meno. Era vero? Meglio non saperlo, meglio addormentarsi.

Quel tarlo rovesciava lo stomaco, le mani frenetiche si torturavano nell’ansia. Non smetteva, l’ossessione divorava. Il rimorso. Pensò alla sorellastra, all’onta subita e alla giusta punizione ma le parve di andarci lei al patibolo. Una testa mozzata rotolò, distolse lo sguardo e riprese a fissare il buio oltre la finestra.

Ieri si erano viste dopo tanto tempo. Una battuta di caccia nella zona di Forteringa, Lord Leicester che le chiede di visitare la sorellastra: “Maria Stuarda è pentita, desidera supplicarle la grazia, la prego, le faccia visita”. Non aveva nessuna voglia di andarci in realtà, chissà come si era fatta convincere. Che idea pessima! Andare lì, aspettando che quell’infame si prostrasse ai suoi piedi ed invece essere accolta da un’orgogliosa sprezzante scozzese che in quel buco lurido, coperta di stracci, senza paura le ha urlato in faccia: “Sono io la tua regina!”. Mai aveva ricevuto affronto più grave. E Lord Leicester le aveva baciato le vesti pur di salvarle la vita. Lord Leicester, conte traditore … l’aveva anche creduto innamorato, la sua era adulazione: solo di Maria Stuarda gli interessava!
E allora: “A morte! A morte tutti!”.
La sorellastra era riuscita a far perdere la testa anche a lui. Era troppo. Quella notte non c’era verso di prender sonno, tanta era l’agitazione. Quel sangue: lei non poteva sporcarsi le mani in quel modo. La odiava con tutta se stessa.


Riprese ad osservarsi nello specchio: chi era la donna più potente del mondo? Con il dito ingioiellato iniziò a ripercorrere le strade del suo volto. Guance floride e batticuori giovanili: cose di femmine! Anna Bolena continuava a ripeterglielo: “Elisabetta: tu sei nata per governare!”. Non si sapeva proprio immaginare nel fiore degli anni, forse non lo era mai stata. Involontariamente la mano si posò sul grembo: “sterile” fu l’unica cosa che riuscì a pensare. Sentì tutto il peso della corona: insopportabile, quel bustino così stretto e quell’acconciatura regale che le tirava i capelli all’indietro in trecce e diademi. Dentro di lei non c’era stata vita. Cosa da femmine anche questa in fondo e lei doveva governare.

Vedeva i primi fuochi accendersi sulla piazza principale, il sole doveva ancora sorgere ma un vocio fitto ed operoso si alzava: montavano il patibolo per l’esecuzione. Nella penombra vide un luccichio camminare e poi salire sulla pedana: una lama.

Notizie della sorellastra erano trapelate segretamente. Aveva saputo cose strane: nell’ora d’aria in giardino la scozzese si stendeva sul prato, si rotolava sull’erba, anche se era bagnata. Cantava tutto il giorno canzoni d’amore. Imitava il verso degli uccelli. Le avevano anche detto che annusava la terra bagnata e parlava piano invece quando il sole era alto nel cielo, restava a volte immobile in una coperta di luce. Era stata vista alzar le gambe all’aria, una regina, a dare calci alle nuvole. Una sentinella l’aveva sorpresa a contare le gocce di rugiada lungo le sbarre della finestra.
“Sarà diventata pazza”.
La regina di Scozia passava le ore con Anna, la nutrice. L’eco delle risate fra le due donne: la cosa la stizziva. A Forteringa non si parlava d’altro che delle storie che Maria Stuarda raccontava ad alta voce. Le sentivano tutto il palazzo, domestici e sentinelle. Parlavano della Francia e dell’amore.


- “Maria Stuarda era un’assassina vile e orgogliosa”.
Forse è stata libera perfino in prigione.
- “Arrogante, ingrata, irrispettosa”.
Una vita breve ma non si era piegata.
Pazzia e saggezza insieme.
- “Sicuramente incoscienza folle”.

Fra poche ore sarebbe morta, con le sue capriole e le sue storie.
Un brivido le percorse la schiena, le mani sudavano. Faceva giorno. Si sentì la condannata, lei che rimaneva lì: una corona come catena ed un palazzo dorato per prigione. Non avrebbe rinunciato al trono per nulla al mondo. Lei non era come la sua sorellastra: votata al Dio clemente dei Cattolici, innamorata ogni volta di un amore nuovo, senza un piano, senza una strategia precisa. “Ecco come era stata cacciata dalla Scozia, ecco come era finita lì nella Torre, ecco come domani finirà al patibolo”.
Non l’avrebbe confessato mai neppure a se stessa .Solo per un giorno della sua vita regale avrebbe voluto esser lei. Rotolarsi nell’erba, arricciarsi una ciocca sul viso, provare il rossore di un amore, l’onnipotenza della maternità: che sapore aveva?
“I regni sono fango, argilla e niente in confronto all’amore”.

“ Che menzogna!”.
Era ripudiando l’amore che lei senza averne il diritto aveva condannato a morte una regina, l’amore è una cosa da femmine e lei doveva governare. Ma a cosa era valso?

Fra poche ore la testa di Maria Stuarda verrà alzata su un palo e mostrata alla piazza. E se qualche pazzo cattolico l’avrebbe santificata? Quella sorellastra passata alla storia avrebbe avuto l’immortalità. Libera dal tempo anche da morta!

Era troppo tardi per tornare indietro. Pensò al suo trono, al suo potere immenso, ai suoi regni sconfinati senza orizzonte. Si disse che aveva seguito tutti gli insegnamenti della madre, una figlia modello maschia. Anna Bolena prima di morire tutto non le aveva detto. Troppe volte aveva visto persone care trucidate e cadaveri torturati eppure nessuno le aveva mai spiegato come si muore dentro, lentamente.

Presto lo avrebbe saputo.



(estratto)

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