lunedì 4 aprile 2011

Gaspare

Aveva del tempo un’idea particolare. Non gli interessava il tempo da contare, non gli piaceva ingannarlo. Lo accoglieva senza troppe domande, annaffiandolo di sole e mormorii. Durava la lunghezza delle parole. Quando il tramonto increspava i vetri alla finestra una cordicella ostinata lo tirava giù incastrandolo nel ticchettio dei passi, nelle lancette dell’orologio di suo padre.

Il pomeriggio lo aspettava in soggiorno e la casa tutta si stringeva in quella stanza, dove la vita ridotta ai minimi termini fluiva fra le pile di giornali ingialliti, i ritagli di legno abbronzato sugli scaffali, pudichi spazi colorati come certi centimetri di pelle rosa rubati. Saltavi a gambe larghe tra segnalibri di prestiti mai restituiti, vedevi linee improbabili che lo univano al resto del mondo. Per ore in apnea nella luce del salotto. Andavi via al tramonto, nella testa una voce saliva. Come avevi fatto a non scoprirla prima quella sensazione.

"Troppo presto" hanno detto tanti. Gaspare scivolò via quando bisognava farlo. Senza rumore, dondolando appena nella luce chiara della polvere.


(estratto)

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