martedì 5 aprile 2011

Tutti laureati voi giovani scrittori?

Che peccato. La rovente polemica sul romanzo, sui romanzieri, sui giovani narratori (gioie e dolori) sembra in via di esaurimento, ed io non ho fatto in tempo ad intervenire. E pensare che ci tenevo tanto. Nell' attesa che riprenda - è previsto per i giorni di Pasqua - rivelerò cosa mi ha trattenuto. Ogni volta che stavo per farlo, arrivava - fastidiosissimo - un pensierino. Il ricordo di quel tragicomico "Processo del lunedì" in cui Vittorio Cecchi Gori, vicepresidente della squadra di calcio della Fiorentina, per difendersi dalle accuse dei giornalisti sportivi, pronunciò la storica frase: "Io sono laureato". VA A CAPIRE perché mi torna in mente. Va a capire. Intanto mi capita di guardare "Forum", la rubrica quotidiana di Rita Dalla Chiesa con il giudice Santi Licheri. Che amministra la giustizia sotto l' albero. Ogni giorno alle 13,35 su Canale 5. L' amministra alla buona. Risolvendo litigi e controversie sulla base del diritto non disgiunto dal buon senso. L' altro giorno aveva di fronte il caso di due signore non giovanissime e non particolarmente amiche. Solo conoscenti. Una di loro due, la casalinga Giuseppina, ha comprato dall' altra - Annalena, che fa la sarta - un cane. L' ha pagato trecentomila lire. Questo cane, però non ci vuol stare, nella nuova famiglia. Appena può scappa, per tornare nella vecchia casa. Che ci faccio di questo cane che non ricambia l' affetto mio e dei miei familiari? Dice la sfortunata acquirente. Questo cane che coglie ogni occasione per tornare di corsa dalla sua vecchia padrona? Se lo riprenda. Mi ridia però le mie trecentomila lire. NEMMENO PER IDEA risponde la signora Annalena. Se il cane non ci vuol restare nella nuova casa, vuol dire che non gli vogliono bene. Dicono che scappa e torna da me. Non ci credo. E se fossero loro a riportarlo di soppiatto, nottetempo? Come fa ad arrivarci da solo? Fra le nostre due case ci sono trenta chilometri... Dopo congruo dibattimento, al quale hanno preso parte anche gli allievi di una V Liceo Scientifico; dopo regolare escussione dei testimoni, il giudice Licheri ha chiuso il suo arbitrato nel modo più salomonico. La vecchia padrona si riprenda il suo cane. Ma non è obbligata a restituire le trecentomila lire. SONO PICCOLE STORIE di tribunale. Vicende minime. "Minima iudiciaria". Però anche "minima moralia". Chissà quante commedie, quanti drammi dietro la faccia di quella signora che ha comprato il cane e adesso non lo vuole più. Chissà quali commedie, quali drammi dietro la faccia dell' altra signora che l' ha cresciuto, venduto e adesso non lo vuole più riprendere. Quanto pathos. Quale groviglio di tensioni personali, familiari. Da una semplice vicenda umana come questa, Cecov avrebbe ben saputo trarre uno dei suoi racconti. I nostri giovani scrittori (si considerano giovani gli scrittori dai diciotto ai settant' anni) non riescono a fare altrettanto. Così almeno si dice in giro. Così si lamenta. Questa era la sostanza della polemica. Ha scritto Filippo La Porta sul "manifesto" del 26 settembre 1992: "Quello che manca è una attendibile e minuziosa rappresentazione della normalità, della umanità media, della gente comune, invisibile e indecifrabile". SONO CONVINTO INVECE che saprebbero farlo benissimo: quasi quanto Cecov. Perché allora non si decidono? Perché queste vicende non le conoscono, non le incontrano. L' organizzazione della nostra vita moderna, metropolitana è tale - non ci sono le piazze, non c' è il lavatoio pubblico, non c' è più la fontana comunale - che queste cose tendono ad accadere, ad emergere proprio in televisione. E loro questa televisione - per carità - non la vedono. Spero non sia perché pensano che queste storie di vita televisive sono artefatte. Recitate secondo un copione. Non possono ragionevolmente pensarlo. Se ci fosse dietro le quinte della televisione qualcuno capace di inventare simili storie, di inventare simili personaggi, avremmo il nostro Cecov, il nostro Balzac. Ce ne saremmo accorti da tempo. Spero non sia perché pensano che quelle persone, ancorché vere, una volta poste sotto l' occhio della televisione fingono, si atteggiano. Non possono ragionevolmente pensarlo. Non perché non sia probabile (certo, si atteggiano) ma perché non ha importanza. Si sa che l' occhio dell' osservatore - si tratti dello psicanalista, si tratti del commissario di polizia - influenza l' oggetto (il soggetto) osservato. E CON CIO' ? Rinunceremo per questo, se siamo scrittori, a buttarci avidamente sulla trascrizione di una seduta analitica, su un verbale di Commissariato? No, la ragione è un' altra. Nobile, ma non so quanto onorevole. E' che il giovane scrittore nutre - fra i diciotto e i settant' anni - un fiero dispregio. Me lo immagino, mentre mi apostrofa. Come si permette, Lei? Io, proprio io, dovrei sciropparmi quella televisione per casalinghe? Ma lo sa Lei, lo sa che IO SONO LAUREATO?

Ecco perché mi tornava in mente la risposta di Cecchi Gori. Non mi resta che augurare al giovane scrittore di tenersela, quella laurea. Di farla incorniciare, al più presto.

- di BENIAMINO PLACIDO

3 commenti:

  1. Questo era Beniamino Placido: un bravissimo alchimista capace di raccontare il trash quotidiano come se si trattasse dell'Odissea...

    RispondiElimina
  2. Sto leggendo Scerbanenco. Per campare ha dovuto scrivere anche romanzetti rosa; questo non gli ha impedito di inventare il giallo italiano, quello serio e importante. Era laureato? Non lo so: non importa.

    RispondiElimina
  3. "raccontare il trash quotidiano come l'Odissea": grazie Michele! :)
    @gustavo: no, non importa certo.

    RispondiElimina