lunedì 2 maggio 2011

A Goffredo Fofi.

"Collocarsi modestamente tra coloro che pensano alla vera gloria, che si conquista attraverso il ben fare, e che può efficacemente e senza problemi restare ignota ai più ("fa’ quel che devi, accada quel che può)".
Questo il consiglio di un maestro, Goffredo Fofi.

Che sia indispensabile la coscienza del "ben fare", imprescindibile "l'erudizione implacabile", che occorra un bagno di pudore per prender le distanze dalla cacofonica bolgia infernale di operatori sociali e culturali buoni soli a produrre grammelot rispettando le tempistiche aziendali, siamo tutti d'accordo.

Mi ronza in testa quell'esortazione, quel "Fa’ quel che devi, accada quel che può!”. La frase non mi piace, non riesco a confinarla nel suo soggetto logico - la gloria che può restare ignota -, lasciarla lì e lavarmene le mani. Mi apre mondi, e abissi. Mi immagino Goffredo Fofi dirmi: "Fa’ quel che devi, accada quel che può!” e divento paonazza di rabbia. Mi infastidisce, è un prurito fisico, un istinto incontrollabile di dita che tastano la pelle e trovano una pulcesucchiasangue e grattano via quel cattivo pensiero. Gestualità ingovernabile e violenta.

Lo rileggo ancora una volta, voglio essere sicura, forse è solo un'impressione frettolosa. Ci guardiamo, io e quella frase. Quel guanto in faccia, mentre stamattina bevevo il caffè e controllavo la lista delle cose da scrivere arretrate. Mi chiedo se non sia un discorso da saggi, il mondo non si cambia ragazza mia. Mio nonno fra una sbuffata e l'altra della pipa me lo ripete ogni volta che vado a trovarlo, come un disco rotto. Rotto, appunto. "Saggio" e "rotto" non vanno d'accordo. La somma fa sempre "vecchio". Che non è un'età anagrafica, è proprio un modo di essere.

Oppure è un inganno questa frase, mi balugina l'idea come uno schizzo di mare in faccia mentre sei accaldata sul bagnasciuga. Il messaggio in codice decriptato suona pressappoco così: “pauci sed electi”, tanto il mondo va come deve andare. Noi resistiamo perchè "ben facciamo". Perfetto. E a cosa serve il mio ben fare se il mondo va come deve andare, maestro? A stare nella mia torre d'avorio? E la torre d’avorio: non è poi un clan?


L'articolo mi piace, lo condivido. Eppure fiuto il pericolo. Non sto tranquilla. E devo scrivere.
Nel nostro esserci "incontrati" stamattina, io con il mio giornale aperto, lui con le sue riflessioni, abbiamo dato una funzione sociale a quell'articolo: la mattinata "non è andata come è andata". Aspetterò ormai il pomeriggio per recensire la mia amata Emma Dante. Il corso dei miei eventi non è più la scaletta da tabella di marcia segnata ieri sull'agenda. Quindi "Fa’ quel che devi, accada quel che può" sembrerebbe una contraddizione in essere, ed è quello che Fofi fuggiva, "il personale successo, il proprio benessere (anche di famiglia, anche di clan)". E stare tre o quattro in una soffitta per me è come stare in un clan.

La razionalizzo questa esortazione, la risvolto come un calzino, sottosopra, alla ricerca del buco, della falla, della mia via di fuga. E non c'è. Non c'è perchè è una dichiarazione programmatica di resa. Resa apparente, ma sempre di resa parliamo.

Io che, né vecchia né saggia, in tempi di morale debole sfodero tutto il coraggio di cui sono capace, a ciascuno il suo, per inseguire il mio ideale di arte, un'arte "etica" in senso forte, non riesco a stare buona nelle mie quattro mura. Che accada quel che accada! Non so voi, a me non basta la gloria clandestina della soffitta, per il semplice fatto che la mia vita non si strotolerà in soffitta fra le pagine di un quaderno scritto a lapis. Che utopia sottrarre l'arte al suo destino di merce! Il mercato, l'economia, le fluttazioni economiche ci caricano la sveglia ogni mattina, io le vedo misurare con lo spago il perimetro della stanza, tracciare rette sghembe sul mappamondo illuminato. E la sento quella lucina sempre più flebile che fa battere il cuore dei paesi disegnati sulla sfera, è sempre più affaticata, lascia sempre più zone in ombra, come una macchia d'olio. O di petrolio.

Eppure lo pretendo un riscatto dalla volgarità della massa. Sconvolgere l'uso e l'abuso e lo storpiamento e lo stupro della parola: si può. Si deve. Chi sente l'urgenza di dire deve continuare a colpire, deve trovare il punto dove chi ascolta è più debole, il loro tallone d'Achille, e poi, senza pietà. Far leva su quel grumo di umanità che ancora abbiamo. Questo, il mio esercizio per "restare umana": lo scricchiolio delle ossa della mano, quel mignolo che si tinge di inchiostro nero strusciato sulla cellulosa, quegli occhi rossi che si fanno sempre più piccoli dopo le tre di notte.
Trovare il punto debole, l'emozione che apre la strada, la forma che veicola il contenuto.

Successo, fama e soldi forse non saranno di questa vita ma la ricerca ostinata di persone che si fanno le mie stesse domande, la ricerca di appigli per riflettere e far riflettere, per sentirmi viva non può essere lasciata al caso. La caparbia ostinata maledetta convinzione che non deve accadere quel che può perchè io ho una responsabilità precisa e devo, devo come imperativo categorico, continuare a chiedermi: "perchè è andata così?", " poteva andare in un altro modo?","cosa potevo fare io?".

Il "pegno"da pagare per chi continua ad essere vivo in questo letame è una cambiale in più sul collo. E i piani di ammortamento per i giovani sono più infami. Hanno interessi da strozzino. Il montante della rendita può coincidere con la mia felicità, con i miei sogni. Accada quel che accada? Questa è la mia vita accidenti! Non è un compito da consegnare e dormire tranquilli la notte. Questa è una faccenda da togliere il sonno, caro maestro.

Mi racconto che "accada quel che accada" sia riferito solo alla fama di un intellettuale e alla sua bramosia di successo, alla vera gloria che può rimanere ignota ai più. Mi sto aggrappando con le unghie e con i denti all'analisi logica. Predicato verbale, complementi, istruzioni per l’uso insomma. Mi vedo scivolare, impantanarmi in: significato, significante, contesto, suggestioni, sconfinamenti. Mi tappo le orecchie, non mi voglio ascoltare. Ma un urlo mi esce. Ed è un urlo che mi tocca più degli altri e mi lacera:

"RINGIOVANIRLO QUESTO PAESE, DIOMIO!".

Cerco un punto fisso nell'orizzonte della mia finestra per distrarmi dal fetore di stantio.

Ma forse sono allergica alla polvere. Mi fa prurito.




(L'articolo per intero è su L'Unità: http://www.unita.it/commenti/goffredofofi/il-mondo-nelle-mani-br-dei-finti-intellettuali-1.288513)

8 commenti:

  1. Spero che la tua passione sia ascoltata, e utilizzata, in questo paese sempre più spento e grigio.

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  2. Fede, io sono d'accordo con Fofi... E non perché è Fofi. La frase che a te provoca l'orticaria io la trovo tremendamente onesta e reale. Hai presente quando invii un tuo manoscritto (un racconto, un romanzo)e sai che hai dato il tuo massimo? Hai fatto quel che potevi... Ciò che accade dopo fa parte del gioco. Ma forse non ho capito né Fofi, né la tua risposta. Fammi sapere.
    Michele Nigro
    http://michelenigro.wordpress.com

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  3. miche, la frase di Fofi in realtà è di Kant. La usa quando parla dell'imperativo categorico, in senso veramente più ampio, a fondamento della filosofia morale, quindi ben oltre la deontologia professionale.
    A me una frase così, usata come l'ha usata Fofi fa paura. Oltre che incazzare. Certo è onesto far bene e far tutto quel che si può. Ma a me non piacciono quelli che dicono "basta far bene il proprio lavoro" e intanto intorno si ammazza e si ruba. Non credo che Fofi sia uno di questi ma da un intellettuale della sua caratura e visibilità mi aspetto un "Sveglia!!! Siate vigili!Indignatevi!".
    Mi fa paura un risvolto improbabile che questa frase contiene: "io ho fatto il mio, sono a posto con la mia coscienza, non mi aspetto nulla, voi continuate pure a fare come avete sempre fatto!".

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  4. "A me una frase così, usata come l'ha usata Fofi fa paura". bene, sono abbastanza d'accordo. Non sono d'accordo però nel considerare fofi un maestro. mai pensato. è una persona umorale che ne ha provato tante.
    la cosa cmq peggiore, cara fede, è trovare una cnmtiguità qualsiasi tra il bene morale di cui parla kant (e che forse riguarda sfere più alte di quella veramente minima, seppur grandiosa, dell'essere-umani-sulla-terra, con faccende del tipo la scrittura, il successo, l'essere intellettuali eccetera (tutte stronzate). essere scrittori o muratori deve essere assolutamente identico: la costruisci la casa del camorrista? meglio di no, vero? idem evita le cazzate se scrivi, o combattile. quelle morali, intendo. e meglio se puoi non aspettarti nulla in cambio. ciao, scusa la fretta, un abbraccio. beppe

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  5. "E meglio se puoi non aspettarti nulla in cambio".
    Sarà il mio mantra.

    grazie Beppe :)

    ps. sul fatto che Fofi ,attribuendosela alla deontologia professionale, ne fa un uso improprio, siamo tutti d'accordo.
    [ Oh, ma nessuno glielo ha detto però!!]
    pps. "persona umorale" mi mancava. :P

    a presto (spero)

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  6. (era un eufemismo ;)
    (mi piace come scrivi)

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  7. chiedo scusa, ma a me sembra che ti sia indignata per nulla: non hai centrato il problema, nè il pensiero di Fofi..
    Se non l'hai letto, ti consiglio "La vocazione minoritaria", ed. Laterza, nonchè le riviste: "Lo straniero" e "Gli Asini", che certamente conoscerai. E, naturalemente, "Strana gente" (Donzelli).
    Mi permetto perchè mi ha incuriosito quello che scrivi..
    F.T.

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  8. Ciao Federico,
    grazie del suggerimento. Le riviste le conosco, il libro no. Mi sembra un'ottima occasione per leggerlo. Sai, il rischio che Fofi diventi il bersaglio di un "fuoco amico" è reale, credo anche io che rapportato unicamente all'articolo apparso sull'Unità sia fuori tema il mio sfogo.
    E' che Fofi è solo l'ultima in ordine cronologico che ha lo spazio e la visibilità - e anche le competenze- per dire qualcosa di forte, per rompere, per far impennare l'elettroencefalogramma piatto di questa Italia... e spreca un'occasione. E' che non solo non mi piace la classe politica, non mi piace nemmeno la classe intellettuale. E' che vorrei dichiarazioni più forti oltre a una programmatica constatazione di buon senso.
    Non lo so, forse mi esprimo male. Quell'articolo aveva un retrogusto urticante. Mi viene in mente Said:"Dire la verità. Gli intellettuali e il potere" , hai presente? io quello vorrei...

    ps. grazie del commento:)

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