martedì 17 maggio 2011

Il mare, le rose e altri dolori. (estratto)

L’aria sapeva ancora di bruciato, nonostante avessi tenuto la finestra chiusa.

Era così tutte le sere, da quando al piano terra si trasferivano i villeggianti. Lasciavano Casoria i primi di maggio. Le donne, i bambini e la vecchia restavano in pianta stabile sotto casa mia fino a ottobre, gli uomini invece facevano i pendolari fra la Stazione Centrale e il paese.

Mio nonno pensò di essere un privilegiato quando vennero a vedere la casa e decisero che andava bene. - L’affitto è di duemila euro per la stagione – si premurò di informarli. Non voleva averla sparata troppo grossa - per l’inverno farebbero trecento euro al mese ma non viene nessuno e allora, voi capite - quasi a giustificarsi - noi dobbiamo viverci con i soldi dell’estate.

I villeggianti capirono benissimo e vollero tranquillizzarlo. Pagarono quel pomeriggio stesso duemila euro al mese per tutti e dodici i mesi dell’anno.

– In cambio noi vogliamo stare tranquilli - dissero.

Durante i mesi invernali qualcuno veniva a dormire, arrivava con il buio e andava via la mattina prima dell’alba. Non ero mai riuscita a vedere di chi si trattasse, ma sapevo che c’era qualcuno, perché sentivo tirare lo sciacquone la notte.

La casa di sotto era come la mia: due stanze da letto, bagno e cucina. Gomito a gomito si stringevano due famiglie, la nonna, i figli e i figli dei figli appena nati. L’ultimo era un bimbetto di pochi mesi che aveva respirato nella sua breve vita più ammoniaca che ossigeno. Mi sono sempre chiesta il perché di una casa così piccola. Li sentivo urtare fra loro quando camminavano, sbattere le ginocchia contro lo spigolo metallico delle brandine che sistemavano la notte per dormire.

Le donne stavano sempre a pulire, a disinfettare, l’acqua sporca del secchio la buttavano in cortile, dove giocavano i bambini, che si sporcavano di sabbia e puzzavano di ammoniaca e lasciavano impronte marroni sul pavimento della cucina. Così le madri pulivano di nuovo e svuotavano i secchi nell'aiuola del cortile. E ai lati, vicino alle mattonelle di cotto infilate nella terra, si depositava una patina biancastra di veleno.

Mi ricordo i fiori di mio nonno. Erano quasi sempre rose inerpicate su piccoli tronchetti che miracolosamente fiorivano e profumavano. Volevo bussare il campanello della casa di sotto, dire alle due donne che l’acqua sporca si butta nel water, che per colpa loro non crescevano più fiori. Mio nonno mi rispose che avevano pagato per esser lasciati tranquilli.

Prima del silenzio, prima dell’aria, mi rubarono le rose.




(breve estratto)



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